
La giustizia riparativa è un paradigma di giustizia complementare a quella penale tradizionale, che mette al centro la vittima e il responsabile del reato, incoraggiando il dialogo e la collaborazione tra loro con l’aiuto di un mediatore imparziale.
A partire da questa definizione e nella consapevolezza della novità di un tale approccio, ben diverso dal tradizionale impianto di giustizia retributiva, abbiamo chiesto ad una serie di operatori ed esperti del settore della giustizia di rappresentare le loro esperienze e le loro opinioni.
Antongiulio Gigante
L’intervista esplora in profondità il concetto e l’applicazione della giustizia riparativa, attraverso l’esperienza e la visione di Antongiulio Gigante. Viene offerta una definizione legale e olistica di giustizia riparativa, enfatizzando la sua applicabilità oltre l’ambito penale, ovunque esista un conflitto. Gigante condivide le sue esperienze formative e professionali come mediatore in Bolivia, Perù e Italia, descrivendo i punti di forza del modello, come la capacità di trasformare le persone e ridurre la recidiva, e le sfide principali, inclusa la necessità di superare un approccio puramente retributivo e la scarsa conoscenza del concetto. L’intervista sottolinea l’importanza di una cultura della relazione e della comunità, evidenziando le differenze contestuali con l’America Latina e il potenziale trasformativo della giustizia riparativa, anche all’interno degli istituti penitenziari.
Rita Bergamo
Il documento presenta un’intervista con la dottoressa Rita Bergamo, funzionaria dell’UDEPE di Trieste, incentrata sul tema della giustizia riparativa e il suo rapporto con le pratiche esistenti nel sistema giudiziario italiano. La dottoressa traccia l’evoluzione del suo lavoro, iniziato nel 1991, evidenziando il passaggio da un approccio incentrato sulla giustizia retributiva a una crescente consapevolezza della necessità di percorsi alternativi e di responsabilizzazione. Viene sottolineato come la giustizia di comunità e le misure alternative al carcere, sebbene non formalmente riconosciute come giustizia riparativa, abbiano già introdotto elementi di collaborazione con il territorio e di coinvolgimento della collettività nel reinserimento dei condannati. L’importanza di distinguere ma complementare il ruolo dei servizi esistenti con i nascenti centri di giustizia riparativa è un punto chiave, così come la sfida di far comprendere al grande pubblico questi nuovi paradigmi e la proposta di avviare esperienze di giustizia riparativa nelle scuole per favorire un cambiamento culturale.
Consuelo Ubaldi
Le registrazioni presentano due interviste con la Dottoressa Consuelo Ubaldi, psicologa e criminologa, incentrate sulla giustizia riparativa in Italia. La dottoressa spiega che la giustizia riparativa non si limita alla condanna, ma si propone di responsabilizzare l’autore del reato e di riconoscere e accogliere il dolore della vittima, estendendo questa attenzione ai bisogni dell’intera comunità. Sottolinea l’importanza di superare una cultura giustizialista e vendicativa, promuovendo invece una cultura riparativa che veda le trasgressioni come conflitti sociali e si concentri sulla riparazione del danno. Viene evidenziato il ruolo cruciale del mediatore, che deve operare in equipe per mantenere la neutralità, guidando le parti attraverso un percorso volontario e confidenziale che mira a recuperare la dimensione relazionale ed emotiva del conflitto, non limitandosi a un esito economico ma anche simbolico. La riforma Cartabia viene menzionata come un catalizzatore che ha reso obbligatoria l’informazione sulla giustizia riparativa, anche se l’adesione rimane volontaria, evidenziando la necessità di un maggiore investimento nella formazione di mediatori qualificati e nella diffusione di questa cultura.
Raffaella Millo
Raffaella Millo, funzionaria dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE) di Trieste, discute la sua pluriennale esperienza nel campo penale e sociale, focalizzandosi sull’esecuzione penale esterna e le misure alternative alla detenzione. Sebbene non si consideri un’esperta di giustizia riparativa, ne approfondisce il concetto, evidenziando come essa cerchi di dare voce alla vittima e di mediare tra le parti, diversamente da una giustizia meramente retributiva. Descrive come l’UEPE, pur senza chiamarla esplicitamente “giustizia riparativa”, abbia sempre integrato nei programmi per i detenuti azioni di risarcimento e riparazione, sia materiale che simbolica, promuovendo il reinserimento sociale e riducendo la recidiva, nonostante le sfide legate alla percezione pubblica e alle risorse limitate.
Valentina Flegar
L’intervista presenta Valentina Flegar, un’assistente sociale dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE) di Trieste, che descrive il suo ruolo e l’evoluzione del sistema penale. Inizialmente, si concentra sulle misure alternative alla detenzione, come l’affidamento in prova, la detenzione domiciliare e la semilibertà, spiegando come il UEPE valuti le storie personali e sociali dei condannati per costruire percorsi di cambiamento. Successivamente, l’intervista approfondisce il mutamento del profilo dei trasgressori a Trieste, notando un aumento di reati legati alla povertà e a gravi fragilità sociali, nonché un’escalation di aggressività. Infine, Flegar sottolinea l’importanza cruciale del coinvolgimento comunitario e del volontariato per favorire il reinserimento e lo sviluppo di un senso di responsabilità e relazione nelle persone condannate, un aspetto che la giustizia riparativa cerca di promuovere.
Valentina Immeroni
L’intervista con la dottoressa Valentina Immeroni offre una prospettiva approfondita sul sistema di esecuzione penale esterna e la crescente importanza della giustizia riparativa in Italia. La dottoressa, con la sua lunga esperienza all’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (UEPE), evidenzia un cambiamento significativo nell’orientamento ministeriale, che ha progressivamente riconosciuto il ruolo degli assistenti sociali in questo ambito, sebbene inizialmente fossero esclusi. Viene sottolineata la criticità del sistema carcerario come “buco nero” inefficace nella riduzione della recidiva e viene enfatizzata l’efficacia delle misure alternative e delle sanzioni di comunità, che invece promuovono una maggiore responsabilizzazione e reintegrazione. L’importanza della comunità, intesa come cittadinanza attiva e tutti gli enti collaborativi, emerge come pilastro fondamentale per un’esecuzione penale più inclusiva e meno focalizzata sull’isolamento. Infine, si discute della necessità di un ripensamento radicale dell’approccio alla giustizia, partendo dall’educazione emozionale nelle scuole per favorire una maggiore consapevolezza, empatia e capacità di riconoscere le ragioni dell’altro, elementi cruciali per il successo della giustizia riparativa.
Report finale
Le interviste presentano una panoramica sulla giustizia riparativa, vista attraverso le esperienze e le riflessioni di diversi funzionari degli Uffici di Esecuzione Penale Esterna (UEPE), di una criminologa-psicologa e di un ricercatore universitario. Emerge chiaramente come la riforma Cartabia abbia formalizzato e ampliato il concetto di giustizia riparativa, sebbene le pratiche di responsabilizzazione dell’autore di reato e di riconnessione con la comunità fossero già presenti nel lavoro degli UEPE. Un punto cruciale è la distinzione tra giustizia retributiva, riparativa e di comunità, con un’enfasi sul coinvolgimento della comunità come attore fondamentale nei percorsi di reinserimento e sulla necessità di un cambiamento culturale per la piena attuazione della giustizia riparativa, a partire dalle scuole. Le criticità includono la scarsa conoscenza pubblica e tra gli operatori, il rischio di strumentalizzazione dei percorsi da parte degli imputati e la sfida di superare una cultura giustizialista e vendicativa.










